“Il dignitoso rifiuto. Lionello Venturi, l’intellettuale che disse no al fascismo”, di Giovanni Taurasi

Giovanni Taurasi da Annale dell’Istituto Storico di Modena, Anno 2011


Tra i tanti anniversari a cifra tonda di quest’anno in cui si celebra il 150esimo dell’Unità d’Italia, ve ne sono alcuni che meritano di essere ricordati proprio perché evidenziano luci ed ombre della nostra storia Patria. Ricorre quest’anno infatti il 50esimo anniversario della scomparsa di Lionello Venturi, il critico d’arte nato a Modena che si oppose al giuramento fascista chiesto ai docenti universitari, e l’80esimo anniversario di quello stesso giuramento imposto dal regime che umiliò il mondo accademico e la cultura italiana.
Fra i principali studiosi d’arte del Novecento, Venturi è stato considerato prevalentemente come storico dell’arte e della critica, mentre l’aspetto politico della sua vita è sempre stato considerato marginale. In realtà, impegno politico e culturale in Venturi erano tutt’uno, e se il primo non è mai emerso, ciò è dovuto alla sua vasta fama nel campo dell’arte, notorietà che ha sovrastato gli altri aspetti della sua biografia, come ha evidenziato la mostra storico-documentaria sulla sua vita che l’Istituto storico di Modena ha realizzato nel 2006. Nelle prossime pagine si pone l’attenzione proprio sul suo impegno civile e politico, ripercorrendo così anche la vicenda di quello sparuto gruppo di docenti universitari che nel 1931 rifiutarono di sottomettersi al giuramento di fedeltà imposto dal regime fascista.

Venturi: una famiglia nella cultura del Novecento

Adolfo Venturi


La famiglia Venturi è profondamente legata alla storia di Modena e riveste un ruolo significativo nella cultura italiana del Novecento. Lionello è il figlio di Adolfo Venturi e Giovanna (Jenny) Zanni. Adolfo, nato a Modena nel 1856, diviene senatore del Regno nel 1924 ed è una figura di primaria importanza per gli studi di storia dell’arte in Italia. Eredita la passione per l’arte dal padre Gaetano e dal fratello Amilcare, entrambi artigiani modenesi maestri di tecnica della scagliola, decoratori di alcuni fra i più bei palazzi e teatri locali. Nel 1878 è ispettore alla Galleria Estense e responsabile del riordino del Museo. In qualità di funzionario delle Belle Arti, Adolfo svolge un ruolo cruciale per la conoscenza e la catalogazione del patrimonio artistico nazionale. Nel 1888 viene chiamato a Roma presso il Ministero della Pubblica Istruzione e ottiene in seguito la prima cattedra italiana di Storia dell’arte a La Sapienza. Fra le sue numerosissime pubblicazioni (quasi 1400) va ricordata la ponderosa Storia dell’arte italiana, opera pubblicata in 25 tomi dal 1901 al 1940, ancora oggi strumento insostituibile per comprendere, in senso critico-storiografico, il mondo artistico italiano dall’età paleocristiana al XVI secolo.
Anche Lionello subisce il fascino dell’arte, che segna tutta la sua vita insieme alla decisione di non piegarsi al fascismo nel 1931; una scelta che lo costringe a proseguire la sua attività professionale all’estero, riparando inizialmente a Parigi. Sposato con Ada Scaccioni, Lionello ha tre figli: Franco, Rosabianca e Lauro. I sentimenti politici del primo vengono profondamente influenzati dall’ambiente familiare.

Franco Venturi da giovane

Franco si laurea alla Sorbona ed entra infatti in relazione con i più illustri antifascisti in esilio che frequentano assiduamente l’abitazione francese dei Venturi. In particolare stringe un solido e profondo legame, amicale e politico, con Aldo Garosci (che a Parigi collabora con Lionello nel suo lavoro di storico dell’arte) e Leo Valiani. Come per il padre, è Carlo Rosselli ad esercitare su di lui l’influenza più rilevante. Aderisce a “Giustizia e Libertà” vergando sui Quaderni del movimento numerosi articoli fortemente polemici verso la politica interna ed estera fascista. Quando i tedeschi occupano la Francia i Venturi sono già negli Stati Uniti, ma Franco rimane nella capitale transalpina. Arrestato poi in Spagna, finisce in un carcere franchista per alcuni mesi e in seguito viene trasferito in Italia e messo al confino. Dopo l’8 settembre 1943 partecipa attivamente alla Resistenza, occupandosi della stampa clandestina azionista e, su incarico di GL, dei delicati problemi militari e politici in seno al movimento partigiano. Dopo la Liberazione diviene direttore del quotidiano GL di Torino e successivamente addetto culturale all’ambasciata italiana a Mosca. In seguito alla crisi dell’azionismo nel dopoguerra, abbandona la politica attiva, ma continua l’impegno civile e culturale fino alla sua scomparsa nel 1994 ed è considerato ancora oggi il principale studioso italiano dell’Illuminismo, nonché uno dei massimi storici italiani del dopoguerra.

Lionello Venturi: dalla critica d’arte all’arte della critica
Quando Lionello Venturi ha tre anni, la famiglia (con l’altro fratello Aldo) lascia Modena e si trasferisce a Roma, dove il padre prosegue dal 1888 la sua carriera. Lionello si laurea in Lettere e Filosofia nella capitale nel 1907. Figlio e allievo di Adolfo, inizia a lavorare come ispettore nelle Gallerie di Venezia (1909-1910) e alla Borghese di Roma (1911-1912), e poi come Direttore e Sovrintendente della Galleria Nazionale di Urbino (1913-1914). Sulle orme paterne sceglie anch’egli la carriera accademica e, salvo una breve esperienza a Pisa, svolge la sua attività docente prevalentemente a Torino, dove viene nominato professore straordinario dal 1915.
Pur essendo l’arte, e in particolare la critica d’arte (di cui è pioniere), il mondo di riferimento di Venturi, egli non si rifugia mai in una torre d’avorio, isolato dal contesto che lo circonda: la sua vita è completamente immersa nel suo tempo e le sue scelte condizionate dalla temperie politica e culturale dell’epoca. Iscritto all’Associazione nazionalistica italiana, è interventista e partecipa come volontario alla Grande Guerra con il grado di tenente. Gravemente ferito all’occhio destro in un’azione militare, rimane a lungo ricoverato in ospedale militare. Nel 1917 viene congedato con decorazione. Ritornato alla vita civile, nel 1919 diventa ordinario alla cattedra di Storia dell’arte presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Torino. Nel marzo 1925 risulta, da fonte giornalistica, tra i partecipanti al congresso degli intellettuali fascisti promosso da Gentile a Bologna.
Sebbene la partecipazione di Venturi all’iniziativa gentiliana sia stata in seguito smentita da ambienti vicini al critico d’arte, essa appare – alla luce del percorso culturale e politico successivo di Lionello, caratterizzato dalla critica all’identificazione fra cultura e fascismo imposta dal regime – il segno delle contraddizioni che scuotono l’Italia nel decennio del primo dopoguerra.
Con la pubblicazione de Il gusto dei primitivi nel 1926 e l’adesione alle idee crociane si palesa il distacco dalla cultura ufficiale. Venturi assume posizioni anticonformiste, rifiutandosi di seguire la corrente “novecentista”, fortemente promossa dal fascismo. A tale corrente, predominante nelle arti figurative italiane nel periodo tra le due guerre, e sintomatica della chiusura culturale del fascismo, Lionello contrappone un approccio internazionalista, rifiuta una visione autarchica e provinciale della cultura, respinge il primato assegnato dal fascismo alla pittura figurativa e manifesta il suo sostegno per il cosiddetto “gruppo dei sei” pittori torinesi (fra cui Carlo Levi), in palese contrasto con i neofuturisti.
In anni nei quali l’università italiana comincia a indossare con disinvoltura la camicia nera, Venturi si defila dalle iniziative troppo identificabili con il regime, ricevendo un richiamo dal Ministro dell’Educazione Nazionale secondo il quale il docente “deve prendere parte attiva alla vita scolastica e a tutte le manifestazioni e iniziative che, collegandosi col suo insegnamento, possano contribuire ad un’efficace azione educativa che avvicini la Scuola alla realtà della vita”. Questi atteggiamenti gli procurano antipatie da parte degli ambienti culturali vicini al fascismo, come dimostrano gli incidenti dopo una sua lezione, quando viene duramente contestato dai futuristi torinesi e attaccato da Marinetti perché rifiuta di accettare come argomento d’esame una discussione sull’arte futurista.
Il sodalizio con l’industriale Riccardo Gualino, collezionista d’arte e mecenate, di cui è nota la freddezza nei confronti del fascismo (nel 1931, sull’onda del tracollo finanziario, finisce al confino a Lipari), rappresenta l’ennesima conferma di una distanza ormai incolmabile con il regime.
Tramite Lauro De Bosis, al quale è legato da profonda amicizia, Lionello si avvicina agli ambienti di Alleanza Nazionale, effimera ma significativa esperienza antifascista liberal-conservatrice. Nata nel 1930 a Roma con l’obiettivo di abbattere il fascismo sulla base di un’ingenua piattaforma costituzionale monarchico-cattolica, Alleanza Nazionale non trova l’appoggio né della Casa Reale né del Vaticano e viene smantellata dagli apparati repressivi del regime.

Dal rifiuto del giuramento all’esilio


Nel corso del novembre del 1931 i professori universitari e degli istituti superiori sono obbligati a prestare giuramento presso le rispettive sedi di rettorato o scolastiche. Il giuramento di fedeltà al regime fascista dei docenti universitari, fortemente caldeggiato da Giovanni Gentile (pare per vendicarsi dei firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti promosso da Croce), si colloca nella cornice della totale fascistizzazione del mondo accademico italiano avviata nella seconda metà degli anni Venti (con l’allontanamento di prestigiose figure intellettuali come Gaetano Salvemini, Francesco Saverio Nitti, Silvio Trentin, Arturo Labriola) e pienamente realizzata nel corso del decennio successivo. Degli oltre 1200 professori universitari solo una dozzina rifiutano di giurare, perdendo così la cattedra. Si tratta di intellettuali con storie e percorsi di formazione diversi, ma tutti accomunati da dignitosa fermezza nel non piegarsi ai dettami del regime. Fra di loro, oltre a Lionello Venturi, spiccano alcuni fra i nomi più prestigiosi della cultura scientifica e accademica italiana: il matematico Vito Volterra, l’orientalista Giorgio Levi Della Vida, i giuristi Fabio Luzzatto, Francesco Ruffini e il figlio Edoardo, lo storico Gaetano De Sanctis, lo storico del cristianesimo Ernesto Buonaiuti, il filosofo Piero Martinetti, il chimico Giorgio Errera, il chirurgo Bartolo Nigrisoli, l’antropologo Mario Carrara.
A questo esiguo nucleo andrebbero aggiunti coloro che, nel frastagliato mondo accademico, compiono scelte analoghe per svincolarsi dall’opera di omogeneizzazione conformista del fascismo. Come chi è costretto ad abbandonare la carriera universitaria per non piegarsi (esemplari i casi di due intellettuali profondamente legati a Venturi come Leone Ginzburg – libero docente, rifiuta di sottomettersi al giuramento quando viene esteso ai docenti incaricati – e Luigi Salvatorelli che, dopo la parentesi giornalistica interrotta bruscamente dal fascismo, non può riprendere il cammino accademico); chi chiede il pensionamento o il collocamento a riposo per sottrarsi al giuramento (come l’ex presidente del consiglio Vittorio Emanuele Orlando o, in modo ancora più esplicitamente antifascista, Antonio De Viti de Marco); chi, essendo momentaneamente all’estero, decide di rimanere definitivamente lontano dall’Italia piuttosto che giurare: come l’economista Piero Sraffa, molto legato ad Antonio Gramsci, o come Giuseppe Antonio Borgese, all’epoca negli Stati Uniti.
La decisione di respingere il giuramento comporta la perdita della cattedra, la pensione (qualora maturata) al minimo e una serie interminabile di persecuzioni e divieti. Numerosi sono gli espedienti adottati per evitare queste conseguenze, non sempre coronati da successo; ma chi ha manifestamente rifiutato di giurare ha compiuto un atto di grande valore morale e civile, sapendo di sacrificare carriera e opportunità di lavoro in nome dell’autonomia dell’insegnamento e del supremo ideale della libertà.
Proprio a ciò si richiama Venturi nella sua missiva al Rettore torinese quando, respingendo l’invito a prestare giuramento, scrive: “non mi è possibile d’impegnarmi a ‘formare cittadini devoti al regime fascista’, perché le premesse ideali della mia disciplina non mi consentono di far propaganda nella scuola per alcun regime politico”.
Dopo aver prestato il giuramento privo della clausola di fedeltà al fascismo del 1926, Venturi rifiuta di firmare quello ideologico del novembre 1931 che prevede la sottomissione al regime e dunque la piena identificazione, inaccettabile per Venturi, tra il fascismo e lo Stato.
Colpito dall’ostracismo del regime, Lionello viene dispensato dal servizio nel febbraio del 1932, quando si trova già all’estero. Dopo il rifiuto del giuramento e un breve soggiorno negli Stati Uniti per tenere un ciclo di conferenze ad Harvard sulla storia della critica, dal 1932 Venturi si stabilisce a Parigi dove viene raggiunto dalla famiglia e attentamente sorvegliato dal locale consolato che informa gli apparati repressivi del regime sulle sue frequentazioni degli ambienti di GL e sulla sua attività nell’ambito della Concentrazione antifascista, nata nel 1927 su impulso della Lega italiana dei Diritti dell’uomo con l’adesione dei due partiti socialisti (riformista e massimalista), la Confederazione generale del lavoro e i repubblicani.
Nei primi anni della permanenza in Francia, il fascismo ha un atteggiamento apparentemente blando nei confronti di Venturi: gli rinnova il passaporto (benché risulti iscritto alla rubrica di frontiera con obbligo di perquisizione e segnalazione) e continua ad erogargli la pensione (che però Venturi dall’estero non può ritirare), probabilmente con la recondita speranza di indurlo a rientrare in Italia per riscuoterla e arrestarlo. Venturi, però, lucidamente non “abbocca all’esca” e non fa più ritorno in Italia, se non con sporadiche incursioni nei pressi del confine svizzero per incontrare i familiari.
Dalla seconda metà degli anni Trenta l’esilio, da volontario che era nella prima fase, diventa di fatto forzato: l’attività antifascista di Lionello, e del figlio Franco, è nota alle forze dell’ordine; viene formulato un ordine di arresto nei suoi confronti, diffuse le sue foto segnaletiche e la stampa fascista inveisce contro di lui.
Lontano per cultura e formazione dalla sinistra comunista, Venturi fatica a trovarsi a suo agio anche negli angusti ambienti liberal-democratici dell’esilio che si limitano a proclamare un antifascismo lontano da qualsiasi azione concreta e privo di effetti pratici. Con l’arrivo in Francia dei fratelli Rosselli la Concentrazione viene egemonizzata nella prima metà degli anni Trenta dal movimento di “Giustizia e Libertà” e le correnti antigielliste, prevalentemente vicine ai repubblicani, vengono isolate. L’impronta liberal-socialista del movimento giellista appare a Venturi come più rispondente ai suoi sentimenti politici e culturali, decisamente influenzati dall’ambiente torinese di ascendenza gobettiana. Non a caso, la personalità che influisce maggiormente sulle prime esperienze politiche di Venturi, dopo la breve e marginale parentesi di Alleanza Nazionale, è il fondatore di “Giustizia e Libertà”: “fui attratto, immediatamente, da Carlo Rosselli”, ricorda in una testimonianza pubblicata nel 1964 da Editori Riuniti nel volume Storia dell’antifascismo italiano; “l’azione degli altri partiti, al di fuori, si intende, dei comunisti, era un’azione di propaganda, era una volontà di far sapere all’estero quale disastro stava preparando Mussolini. Ma Carlo Rosselli volle qualcos’altro. Volle la lotta in Italia”.

Lionello in Francia e negli Stati Uniti

Quelli francesi (1932-1939) sono per Venturi anni di forte impegno culturale, con la pubblicazione di opere fondamentali per la sua attività scientifica, ma anche di grande impegno etico e civile. A Parigi Lionello promuove conferenze alle quali invita Benedetto Croce, benché proprio in Francia egli superi la sua formazione crociana, coniugando, sulla base dell’insegnamento gobettiano, ideali liberali e socialisti. Ambasciate e consolati italiani all’estero spiano l’attività politica degli emigrati. Mentre è a Parigi, la posta di Venturi è costantemente controllata e lo studioso viene strettamente sorvegliato. Quando il suo allievo Giulio Carlo Argan si reca a trovarlo, l’episodio viene prontamente segnalato agli apparati di sicurezza del regime, che avviano anche nei confronti di Argan, al suo rientro in Italia, le misure di vigilanza.
I suoi rapporti epistolari con l’Italia sono rigorosamente vagliati dall’Ovra. Venturi ne è consapevole ed evita di affrontare questioni di natura politica, anche quando scrive all’amico Luigi Salvatorelli, ex condirettore de «La Stampa», estromesso dal giornale per il suo dichiarato antifascismo e costretto a ritirarsi a vita privata. È in contatto anche con Carlo Ludovico Ragghianti che tenta di costituire in Italia un gruppo di antifascisti fra amici e allievi di Venturi.
Nella capitale francese frequenta assiduamente Francesco Saverio Nitti e Alberto Cianca, ex direttore de «Il Mondo». Durante la stagione parigina, i soggiorni in altri paesi sono numerosi e la polizia segreta fascista sospetta, in parte con ragione, che i viaggi di Venturi non abbiano solo un motivo professionale, ma nascondano fini politici e siano finanziati da GL. Il ruolo politico che svolge, non da militante di partito in senso stretto, ma da osservatore privilegiato impegnato a tenere alta la tensione antifascista, gli consente di conservare un maggiore distacco nei confronti delle fibrillazioni tra i partiti antifascisti e di avere uno spirito maggiormente unitario. Lo sdegno di Venturi per ciò che accade in Italia, e il conseguente impegno politico per denunciare i crimini della dittatura, crescono progressivamente durante l’esilio. In questo quadro si colloca la promozione della sezione italiana della Lega Internazionale contro l’antisemitismo (Lica) che, nata nel 1927 come Ligue contre le Pogroms, aveva il compito di combattere l’antisemitismo. L’indignazione per le leggi antisemite convince Venturi della necessità di assumere una posizione chiara anche sulla politica razziale del regime. Egli dà vita alla sezione italiana della Lica, di cui diviene presidente, con il compito di dedicarsi in particolare agli intellettuali italiani emigrati, guadagnandosi gli strali della stampa fascista (alla fine del 1939 sul giornale «Il Regime Fascista» del ras cremonese Roberto Farinacci viene pesantemente attaccato e definito “porco di professione”).
Il 18 marzo 1939 Venturi lascia Parigi e si imbarca in direzione di New York per trascorrere alcuni mesi negli Stati Uniti, ma lo scoppio del conflitto e la nomina a professore presso l’università di Baltimora lo inducono a rimanere in America. Negli Stati Uniti prosegue la sua attività accademica e di ricerca (tiene lezioni e corsi in prestigiosi atenei e istituti culturali in California, Città del Messico, New York e continua la sua attività editoriale con la pubblicazione di opere di grande valore), ma anche quella di propaganda contro il regime. La presenza di antifascisti negli Stati Uniti cresce dopo il 1940, con la fuga dalla Francia di numerosi esuli precedentemente riparati Oltralpe a seguito dell’invasione da parte delle truppe tedesche.
Negli Stati Uniti fra la fine del 1939 e l’inizio del 1940 nasce la “Mazzini Society”. Tra i dirigenti dell’organizzazione, di ispirazione liberal-socialista, democratica e repubblicana, ci sono Max Ascoli, da tempo residente in America, Gaetano Salvemini e Lionello Venturi. Viene nominato segretario Alberto Tarchiani, ex caporedattore del «Corriere della Sera», esule dal 1926 e tra i fondatori di GL, da cui si è discostato dopo l’assassinio dei Rosselli, non condividendo la svolta socialista del movimento.
La partecipazione attiva di Venturi alla fondazione della “Mazzini Society” è indubbiamente favorita dall’ascendente esercitato su di lui da Salvemini, riconosciuto come maestro morale ed esempio di impegno politico. L’impegno avviato da Venturi in Francia con la Lega internazionale contro l’antisemitismo, prosegue anche negli Stati Uniti, con la presidenza dell’Italian Emergency Rescue Committee, che ha il compito di portare in salvo chi, rimasto in Europa, rischia di essere arrestato da fascisti e nazisti (fra i dirigenti del comitato di salvataggio ci sono i più illustri esuli antifascisti nell’America del nord). La presenza nel vecchio continente del figlio Franco contribuisce indubbiamente all’impegno profuso da Lionello in questa opera meritoria.
Nel corso del conflitto, all’interno della “Mazzini Society” cominciano ad emergere dissensi e tensioni che provocano l’isolamento di Salvemini, critico per le posizioni eccessivamente remissive di Carlo Sforza (altra figura significativa per la formazione di Lionello) nei confronti degli angloamericani, nonché per l’atteggiamento rigidamente anticomunista dell’associazione. L’allontanamento di Salvemini ha ripercussioni su tutta l’ala liberal-socialista che si riconosceva in lui e induce anche Venturi, all’inizio del 1943, ad abbandonare la “Mazzini Society”.
Venturi negli Stati Uniti è protagonista anche di un’altra iniziativa politica, destinata però a non avere particolare fortuna: la fondazione dell’Unione latina con il compito di raccogliere gli esuli italiani, francesi e spagnoli. Nel marzo del 1944, insieme a illustri esuli italiani fra cui Arturo Toscanini, e come sempre al fianco di Salvemini, è uno dei sei firmatari dell’appello per il ripristino delle libertà democratiche in Italia pubblicato con grande rilievo sulla rivista «Life».

Il rientro in Italia e il dopoguerra

Dopo la liberazione di Roma, nel 1944 il governo Bonomi reintegra i docenti universitari licenziati nel 1931 e Venturi decide di rientrare in Italia, chiedendo di essere assegnato all’università capitolina dove insegnò il padre (richiesta che gli era stata negata nel 1931 dal regime). Nel febbraio 1945 viene richiamato all’insegnamento universitario. A Roma diviene titolare della cattedra di Storia dell’arte medievale e moderna (prima sdoppiata e tre anni dopo riunificata) e, in seguito, direttore d’istituto. Venturi interrompe la sua attività politica e si dedica completamente agli studi. La crisi dell’azionismo di matrice liberal-socialista lo priva dell’unico luogo nel quale potrebbe proseguire il suo impegno politico. Continuano in questi anni l’attività di prestigioso conferenziere e i viaggi di studio all’estero, con un nuovo interesse nei confronti del Medio Oriente, della Grecia e della Turchia. Tiene inoltre una rubrica d’arte permanente su «L’Espresso». Più volte commissario alla Biennale di Venezia, fra le numerose onorificenze ricevute spicca il titolo di Accademico dei Lincei. Si ritira dall’insegnamento attivo nel 1955 e, dopo un periodo come professore fuori ruolo, va in pensione dal novembre 1960 e viene nominato professore emerito (la sua cattedra andrà all’allievo Giulio Carlo Argan). Muore a Roma il 15 agosto 1961 e riposa nella parte vecchia del cimitero di Prima Porta.
Schiacciato dalle rigide contrapposizioni politiche del dopoguerra, Venturi, laico formato all’antifascismo dalla lezione di Benedetto Croce e cresciuto sotto l’influenza delle idee socialiste e liberali di Salvemini, sempre critico nei confronti dei comunisti, scrive a Giancarlo Vigorelli proprio nel 1961 una lettera (conservata nell’archivio Venturi) che può apparire come una sorta di testamento spirituale: “‘È finito il fascismo in Europa?’. Nemmeno per sogno; esso diviene ogni anno più pericoloso, perché ha insegnato a tutti a fare il proprio comodo a dispetto della vita sociale, e ci vuole tempo a riparare una simile diseducazione morale. Dovrebbe essere più facile combattere la forza politica del fascismo. Esso è nato, ha vissuto, e continua dopo morte, sulla base di un ricatto: il pericolo comunista. Chi accetta un ricatto è un vile, e bisogna respingerlo, sia con la forza della nostra fede nella libertà, sia per la convinzione di appartenere a una civiltà superiore”.


Nota sulle fonti utilizzate

Il testo riprendere la ricerca svolta per realizzare la mostra storico-documentaria su Lionello Venturi, che si è avvalsa del prezioso contributo di Antonello Venturi, e il relativo catalogo GIOVANNI TAURASI, a cura di, Lionello Venturi intellettuale antifascista, Carpi, Nuovagrafica scarl, 2006.
Per quanto riguarda la bibliografia di carattere generale sui temi inerenti la cultura e l’atteggiamento degli intellettuali durante il fascismo s rimanda a ALBERTO ASOR ROSA, La cultura, in «Storia d’Italia», Dall’unità ad oggi, vol. IV, t. II, Torino Einaudi, 1975; GIOVANNI BELARDELLI, Il Ventennio degli intellettuali. Cultura, politica, ideologia nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2005; NORBERTO BOBBIO, La cultura e il fascismo, in GUIDO QUAZZA, a cura di, Fascismo e società italiana, Torino, Einaudi, 1973; NORBERTO BOBBIO, Profilo ideologico del Novecento, Torino, Einaudi, 1986; ANGELO D’ORSI, Intellettuali nel Novecento italiano, Torino, Einaudi, 2001; EUGENIO GARIN, Intellettuali italiani nel XX secolo, Roma, Editori Riuniti, 1996 (I ed. 1974); EMILIO GENTILE, Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Roma-Bari, Laterza, 1974; MARIO ISNENGHI, Intellettuali militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi, 1979; LUISA MANGONI, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 1974; GABRIELE TURI, Il fascismo e il consenso degli intellettuali, Bologna, Il mulino, 1980; GABRIELE TURI, Lo Stato educatore. Politica e intellettuali nell’Italia fascista, Roma-Bari, Laterza, 2002; PIER GIORGIO ZUNINO, L’ideologia del fascismo, miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, il Mulino, 1985. Altre indicazioni bibliografiche sull’antifascismo nella rassegna bibliografica che raccoglie un centinaio di titoli sul dissenso al regime GIOVANNI TAURASI, Antifascismo, Milano, Unicopli, 2010.
Su Lionello Venturi si rimanda a LIONELLO VENTURI Testimonianza in AA. VV., a cura di PIERGIOVANNI PERMOLI, Lezioni sull’antifascismo, Bari, Laterza, 1960; LIONELLO VENTURI, In esilio in Francia e in America, in LUIGI ARBIZZANI E ALBERTO CALTABIANO, a cura di, Storia dell’antifascismo italiano, vol. II, Testimonianze, Roma, Editori Riuniti, 1964, pp. 91-94; GIULIO CARLO ARGAN, Prefazione a LIONELLO VENTURI, Il gusto dei primitivi, Torino, Einaudi, 1972; GIORGIO BOATTI, Preferirei di no. Le storie dei dodici professori che si opposero a Mussolini, Torino, Einaudi, 2001; LEONARDO CASALINO, Un’amicizia antifascista. Lettere di Lionello e Franco Venturi a Luigi Salvatorelli (1914-1941), «Quaderni di Storia dell’Università di Torino», n. 2, 1997-1998; Da Cézanne all’arte astratta. Omaggio a Lionello Venturi, Milano, Mazzotta, 1992; HELMUT GOETZ, Il giuramento rifiutato. I docenti universitari e il regime fascista, Firenze, La Nuova Italia, 2000; MARIA MIMITA LAMBERTI, a cura di, Lionello Venturi e la pittura a Torino. 1919-1931, Torino, Fondazione Crt, 2000; CARLO FEDERICO TEODORO, a cura di, Lionello Venturi e l’avanguardia italiana, Modena, Artioli, 1991; STEFANO VALERI, Lionello Venturi antifascista «pericoloso» durante l’esilio (1931-1945), in ID., a cura di, Lionello Venturi e i nuovi orizzonti di ricerca della storia dell’arte, Atti del Convegno internazionale di studi (Roma 1999), «Storia dell’Arte», nuova serie, n. 1 (101), 2002, pp. 15-27; STEFANO VALERI, ROBERTA BRANDOLINI, a cura di, L’Archivio di Lionello Venturi, Milano, Medusa, 2001. Infine, per un approfondimento sul rapporto tra cultura e fascismo nella città della Mole nella quale Venturi opera rimando a ANGELO D’ORSI, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi, 2000, mentre, per la ricostruzione degli ambienti culturali ed accademici della sua città natale durante il fascismo, rinvio a GIOVANNI TAURASI, Intellettuali in viaggio. Università e ambienti culturali a Modena dal fascismo alla Resistenza (1919-1945), Milano, Unicopli, 2009.

Informazioni su QuintoStato

Corro, leggo, scrivo, racconto. Negli anni ho svolto un percorso che ha intrecciato attività politica, professionale, didattica e di ricerca. Laureato nel 1997 in Storia contemporanea a Bologna, ho conseguito successivamente il dottorato in Storia Costituzionale e Amministrativa presso l’ateneo di Pavia e svolto attività di ricerca per l’Università di Modena e Reggio Emilia. Ho pubblicato sei monografie, curato volumi, mostre e allestimenti museali sulla storia del Novecento e pubblicato una ventina di saggi e articoli su riviste scientifiche e annali di storia contemporanea. Sono autore di spettacoli teatrali e history telling. Sono dipendente della Regione Emilia-Romagna.
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